LA MIA DOULA
Era quasi iniziato l’inverno. A Bussana tirava un vento freddo,
“frizzante” come diceva la mia nonna quando gli alberi perdevano le foglie e
l’autunno consegnava le chiavi all’inverno.
Anche in quei giorni era così, ma non c’era tanto tempo per guardare
fuori dalla finestra con il naso appiccicato ai vetri. Quello sarebbe stato un
inverno speciale, senza tempo, senza fretta, senza i soliti impegni da calendario.
Una sorprendente avventura era iniziata. La piccola Lucia era arrivata nella
mia vita e pulsante come una stella mi chiedeva amore.
Avevo avuto un bellissimo parto, da copione: cinque ore di travaglio
vissute con il mio amato compagno, tutto era andato splendidamente, eravamo
tornati a casa in una domenica soleggiata e a volte ancora mi sembra di
respirare l’aria della casa in attesa di noi quando entrammo in tre. Scoppiai
in un pianto senza fine e Giulio mi guardò preoccupato, ancora ora fatica a
comprendere i miei frequenti sbalzi d’umore tutti al femminile. Piangevo di
gioia, di paura, di eccitazione.
I primi giorni erano stati bellissimi, Giulio era vicino a me, mia mamma
era arrivata da Roma e viveva con me ogni piccola emozione, avevo iniziato ad
allattare con la gioia dentro. Tutto sembrava perfetto.
Ma quel 24 novembre qualcosa cambiò.
Giulio era tornato al lavoro, certo solo per poche ore ma io e Lucia ci
svegliavamo sole, e mia mamma era tornata ad occuparsi della nonna, a Roma.
Pensavo a loro, ci pensavo spesso e le invidiavo: le immaginavo prendersi una
tisana calda la sera, insieme, e mia mamma che le rimboccava le coperte, come
faceva a me molto tempo prima. Proprio io che mai avrei invidiato qualcun’altro. Improvvisamente mi sentii come
“imbottigliata”, mi sentivo una donna alla quale avevano tolto qualcosa.
Guardavo lei, Lucia, candida
nella sua culla, temevo che per qualche ragione mi leggesse nel
pensiero. Ero felice, ma anche tremendamente triste, mi sentivo sola ma non
avevo voglia di vedere le amiche. Avevo voglia di uscire ma ero spesso troppo
stanca per farlo. Aspettavo con ansia l’arrivo di Giulio perché era più facile
in due. Ma spesso non riuscivo a concedermi del tempo: allontanarmi dalla
bambina metteva in libertà una strana sensazione di egoismo, temevo di rivelare
a me stessa che avevo una smodata voglia di stare sola.
La mia amica Marzia aveva uno
splendido bambino di un anno, anche lei aveva avuto momenti bui: ci sentivamo
spesso al telefono e a lei rivelavo un po’ della mia inquietudine, non volevo
che altri sapessero che ero triste. Avevo una bambina buona e tranquilla, a 2
settimane di vita dormiva per ore ma nonostante ciò non riuscivo a fare nulla
che mi desse piacere, nelle ore libere pulivo la cucina in modo compulsivo
oppure cercavo su internet informazioni sulla famosa “babyblues”, avevo capito
che potevo esserci dentro. Inoltre temevo che il mio latte non fosse
sufficiente, la bambina cresceva ma era molto richiedente e io mi sentivo “non
sufficiente” per lei.
Era un pomeriggio in cui non ero riuscita nemmeno a lavarmi la faccia
quando il campanello suonò 2 volte ed era Marzia: mi portò un cestino con degli
smalti, sapeva che li adoravo, ma la reazione fu un crollo. Piangevo
imbarazzata. Mi sentivo così lontana da tutti, anche da me stessa. Mi abbracciò
e mi disse che il regalo era dentro il cestino, sotto gli smalti. Un
bigliettino rosa faceva capolino sul fondo ”Stella- doula”, con affetto, la tua
amica del cuore.
Quello fu il regalo più prezioso che mi fece Marzia.
Ancora non capivo cosa dovessi fare. Sapevo che esistevano queste
“doule” e che erano delle donne che aiutano le mamme, ma non pensavo fosse
facile trovarle, se ne parlava poco e non conoscevo nessuna che direttamente ne
avesse avuta una.
La sera stessa, mentre allattavo Lucia, chiamai quel numero sul retro
del bigliettino e parlai con Stella. Mi presentai, le dissi che un’amica mi
aveva prenotato degli incontri (erano quattro) e che mi sarebbe piaciuto
incontrarla. Mi fidavo di Marzia ed ero troppo triste per continuare a
condividere le mie paure solo con me stessa.
Ci demmo appuntamento il giorno
successivo alle ore 15.
PRIMO INCONTRO
Avevo cercato di sistemare casa ma non era stato facile: Lucia aveva
dormito pochissimo e inoltre in quei giorni voleva poppare almeno otto volte al
giorno. Quando Stella arrivò ero in vistoso imbarazzo e mi scusai per il
disordine.
Era bionda con una pelle chiarissima e pulita, aveva qualche ruga di
espressione intorno alla bocca, un profumo buono di fiori e di aspetto
delicato.
Ci sedemmo sul divano mentre Lucia iniziava a poppare. “Allora, chi è
questa principessa?” mi chiese sorridendo. Le parlai di Lucia dipingendola come
una bambina perfetta, mi dilungai descrivendo quanta felicità mi avesse portato.
Le dipinsi la maternità come un momento eccezionale, ero grata al cielo per
aver ricevuto un dono così bello.
Mi faceva parlare senza intromettersi, ero sul palcoscenico, non so se
avete presente quando siete concentrati su di voi e il pubblico scompare per
poi applaudire in un secondo momento? Il suo era un silenzio calmo, non
imbarazzante, e io parlavo, la inondavo di parole.
Ero un fiume in piena, avevo fretta di dire, di riempire lo spazio. Poi
mi fermai e le dissi :” Stella, forse ti chiederai cosa c’è che non va, visto
che sei qui”. Stella mi guardò con dolcezza e mi disse : “Io vedo una mamma
amorevole che ha tanta voglia di dire”, le dissi che era un po’ che non parlavo
così tanto, che non sapevo di preciso cosa mi aspettassi da lei. Poi mi disse:”
E’ importante poter parlare di noi, del nostro mondo, poterlo fare con libertà,
come scrivere su un diario, ecco… una doula è anche un diario”. Le dissi che
non parlavo da settimane di me, parlavo con mia mamma, con Giulio, con qualche
amica, di Lucia, dei grammi che prendeva, della sua acne neonatale, parlavo
della mia cucina disordinata ma non parlavo mai di me.
Lucia era crollata dal sonno e la misi nella sua culletta accanto a noi.
Mi ricomposi e poi dissi: “Quindi con una doula posso parlare di…me?”. Stella
mi rispose :”Si, se vuoi”. Sorrise e mi sfiorò la guancia con un buffetto, un
tocco impalpabile ma pieno di cura per un persona che quasi non ti conosce.
Sentii sgorgare le lacrime ma ancora cercavo di trattenerle.
“Io…sono una mamma felice ma una donna triste”, balbettai. Quasi mi
veniva da sorridere.
Forse ero stata poco chiara. La doula rimase ancora un po’ in silenzio e
poi mi sussurrò: “Com’è questa tristezza?”.
Le lacrime sgorgavano copiose. Mi porse un fazzoletto e la vidi
intenerita. Non sapevo cosa mi stesse succedendo: avevo una gran voglia di
essere abbracciata, sentivo che quella donna ancora sconosciuta non avrebbe
pensato male di me e così mi lasciai andare e le dissi che ero una “mamma
infelice” e che mi sentivo immensamente in colpa per questo. Forse mi lesse nel
pensiero perché poco dopo mi accolse in un abbraccio materno. Piansi tra le sue
braccia, attraccai ad un porto franco. Solo in quel momento capii che tutto ciò
che cercavo era un rifugio, un luogo in cui depositare i miei pensieri, i miei
sensi di colpa. Non riuscivo a incontrarli da sola.
Mi sentivo sottosopra, liberata, leggera ma stanchissima. Non sentii il
bisogno di parlare ancora. Stella non mi chiese niente, accolse la mia scelta,
una sorta di accordo “non detto”.
Mi chiese se desideravo farmi una
doccia, lei avrebbe sorvegliato Lucia, ma le dissi che preferivo rimanere con
la bambina. Preparai una tisana e la bevemmo insieme. Non so perché ma
improvvisamente mi venne voglia di ridere. Le raccontai di quella volta che
preparai una tisana a Giulio e per sbaglio gliela appoggiai bollente sul
braccio mentre in tv vidi la faccia della mia vicina di casa ad una orribile
trasmissione. Risi e contagiai anche lei. Allora anche Stella mi raccontò di
quando per errore mise il sale nella tazzina del caffè del titolare di suo
marito dopo la primissima cena; e così iniziammo a ridacchiare. Mi sembrava di
aver ritrovato un’amica.
Mi sorpresi per quanto bene mi fece piangere quel pomeriggio. Avevo
pianto con una donna che non mi conosceva ma che in quel momento mi aveva
ascoltata senza giudicarmi, con la calma di una mamma, la dolcezza di una
donna, la confidenza di un’amica. Così conobbi la mia doula. Ci salutammo e ci
demmo appuntamento per due giorni dopo.
IL TEMPO CON LA DOULA
Due giorni dopo Giulio mi fece una sorpresa e si prese il giorno libero,
quindi chiamai Stella e le chiesi di vederci la settimana successiva. La
giornata fu piacevole, Giulio era intenzionato a starmi accanto, era curioso di
sapere cos’avesse fatto la doula qualche giorno prima visto che rientrando dal
lavoro mi aveva trovata un po’ sottosopra ma in pace. Forse a suo modo avrebbe voluto fare lo
stesso.
In quei giorni avevo fame di compagnia, sentivo che da sola mi sarei
persa. Giulio ed io facemmo una lunga passeggiata con Lucia; mi disse che era
dispiaciuto del mio isolamento, sembrava triste, desiderava vedermi allegra, mi
disse che la mia tristezza lo preoccupava al punto da farlo dormire male.
Improvvisamente sopraggiunse un crescente senso di inadeguatezza. Non avrei
voluto deludere il mio uomo. Avrei voluto spiegarli cosa mi attraversava il
cuore ma non ce la feci.
Il giorno dopo chiamai Stella, le dissi che ero felice di averla
conosciuta e che mi dispiaceva aver rimandato il nostro appuntamento. Lei mi
rassicurò e mi disse che era importante per me e Giulio passare del tempo
insieme e che era felice se lo eravamo noi. Poi le dissi che la bambina aveva
un forte arrossamento al sederino e che non sapevo cosa fare, e aggiunsi anche
che forse non l’avevo lavata bene, che
forse ero distratta da qualcosa, che non mi sentivo tranquilla.
Stella mi disse che nel pomeriggio aveva qualche ora libera e che se
avessi voluto sarebbe passata per un saluto. Accettai. L’idea di averla in casa
anche solo per poco mi rassicurava.
Alle 17 Stella arrivò.
Mi saluto calorosamente con il suo fare delicato che tanto mi colpiva
ogni volta.
Ci sedemmo in salotto. Lucia dormiva. Parlammo del sederino dei bambini,
mi disse che la sua nonna usava impacchi di acqua e olio e riaffiorò in me il
ricordo di mia mamma che mi raccontava di questo miracoloso rimedio.
Le dissi che se ci fosse stata mia mamma me lo avrebbe di certo detto e
che Giulio invece non sapeva niente. Nel momento in cui pronunciai il nome Giulio
sentii dentro un’emozione molto vicina alla rabbia.
La doula mi chiese “Come va con lui?”. La guardai e le dissi “Beh,
benissimo, siamo da sempre molto uniti”.
Stella mi propose di parlare di “noi” (come coppia) se lo desiderassi.
Le dissi che volevo parlarne ma che in quel momento non riuscivo a trovare le
parole. Mi chiese se avessi un foglio e dalla sua borsa tirò fuori dei
meravigliosi pastelli che profumavano di infanzia. Mi domandò :”ti piace disegnare?”. Le risposi
che adoravo il disegno.
Mi propose un gioco, disse:” il disegno non ha bisogno di parole, se
vuoi puoi far parlare questi pastelli, ed è anche un buon modo per rilassarci”,
e così anche lei iniziò a disegnare.
Disegnai una bella casa con il camino fumante, gialla, rossa e
arancione: disegnai un orsetto e una mano che lo accarezzava. Poi guardai bene
e vidi che mancava qualcosa. Stella mi chiese di dirle come mi sentissi.
Sentivo la solitudine nonostante il calore di quella casa.
Mi sentivo distante da Giulio, lui mi voleva bene ma non mi stava
aiutando, non mi dava il permesso di buttarmi giù, lui non voleva vedermi
triste. Il magone lasciò spazio ad altre lacrime. Le dissi che la vita a tre
non era così perfetta come mi aspettavo. Allora lei mi chiese :”Com’è una vita
a tre perfetta?”. Le risposi: “Sono tanto confusa”. Mi guardò come faceva mia
mamma quando da piccina mi dava quelle risposte rassicuranti, quando ti fidi a
prescindere, perché sai che la mamma è la mamma. Mi parlò di questo carnevale
di emozioni che caratterizza il puerperio. Mi disse che questi “momenti” a
tratti opposti potevo accettarli, farli accomodare, che avremmo potuto
disegnarli, nominarli, magari anche arrabbiarci con loro ma che potevamo
“addomesticarli”, era possibile farlo, mi ricordò che sarebbe rimasta con me,
tutto il tempo necessario.
Mi chiese se la parola “insieme” mi piacesse: ecco..“quell’insieme” mi
piaceva. Lei, Stella, pareva che sapesse esattamente dove mi trovavo, nonostante
l’evidente confusione. Avevo l’impressione che lei mi mostrasse la strada, non
una strada, la mia.
I motivi che mi spinsero a vederla ogni settimana per qualche mese si
possono racchiudere in poche parole: avevo bisogno che qualcuno mi aiutasse a
riconoscere i miei fantasmi, ad addomesticarli, potevo accettare tutto se
qualcuno mi illuminava la strada.
Stella veniva da me il pomeriggio, dopo qualche incontro le permisi di
tenere in braccio Lucia mentre io mi facevo il bagno. A volte mi portò uno
spuntino. Altre mi portò qualche libro di tradizioni popolari sui rimedi
naturali dei bambini. Adoravo leggerli e metterli in pratica.
Dopo il terzo incontro presentai la mia doula a Giulio. Gli piacque
molto. Si fermò a cena da noi.
La mia doula era una presenza illuminante in un momento di montagne
russe emotive. Forse il suo nome non era casuale.
Con lei le mie paure trovavano ristoro,
potevo mostrare i miei punti luminosi e le mie ombre, lei era lì, era il mio “caro
diario”, accoglieva e non sottoscriveva.
Ridevamo insieme e non solo: una volta raccontai una storia triste e
piangemmo insieme. Quando allattavo Lucia lei mi leggeva storie buffe.
Un giorno ero stanchissima e lei ha fatto la spesa per me, non mi
sembrava vero.
Erano pomeriggi straordinariamente normali, Stella è davvero una donna di cuore.
Una volta la rappresentai in un disegno: era un cesto vuoto che
profumava di legno e fiori, pronto da riempire con frutti gustosi.
Sono grata a Stella. Lo è anche Giulio.
E poi ho capito che non ero una mamma infelice, solo che avevo bisogno
di “una mamma”. Ogni donna ne ha bisogno.
Arianna