venerdì 14 luglio 2017

"Sempre in braccio": lo sfogo delle mamme.

Ciao a tutti e tutte,

Da doula e anche da mamma, da amministratrice e fruitrice di gruppi di mamme, virtuali o dal vivo, ascolto varie storie di tante neomamme. Le ascolto, non sempre riesco a rispondere perchè sono tantissime, ma leggere le richieste di attenzione, mi ha permesso di rendermi conto di quali siano gli argomenti più "urlati", quelli più caldi che fanno piangere le mamme. In testa alle classifiche l'insofferenza per aver sempre in braccio la piccola creatura. Le mamme sanno che le loro braccia sono pressochè insostituibili e che il piccino dorme e dorme ma non appena viene lasciato nella sua culletta, pochi secondi dopo attiva la modalità "sirena": E allora senza soluzione di continuità ricomincia tutto da capo e quel piccolo respiro che si ha va a farsi benedire. E allora vien voglia di urlare, ci si sente prigioniere, di questo esserino che ci vuole tutte, fin nell'anima. Ho provato da mamma cosa significa, e ho respirato questa sensazione dai racconti a spot di centinaia di mamme. 

Accade quasi subito, quando il piccolo è davvero piccolo. I primi mesi dopo il parto e fin quasi all'anno a volte, sono caratterizzati da un bisogno costante di contatto per i cuccioli di uomo. Non tutti, ma quasi. Le mamme si interrogano sul loro operato: lo sto viziando? dovrei farlo piangere? un giorno dormirà da solo nella culla? potrò anche io pranzare senza interruzioni? 
La sensazione di essere avvolte in un groviglio di privazioni è molto forte. Del resto, non è facile passare da una condizione di essere umano autonomo e libero a "mamma al servizio costante di un figlio, 24 ore su 24".
Le mamme si lamentano quando sono sfinite, poi riaffiora una magica energia e la giornata continua, a volte però rimane un vuoto.
Mi veniva da parlare loro dell'esogestazione, del bisogno di contatto, di come il bambino fino a 10 mesi circa percepisca il suo corpo e quello della madre come un'unica entità.

E' importante prendere consapevolezza della natura delle cose, ancor più importante realizzare che è un processo fisiologico, che accomuna la maggior parte delle mamme e dei bambini. 
Ma in quel momento, quello dell'urlo, si ha solo "insofferenza", "fatica", più mentale che fisica. Le donne provano rabbia, e al tempo stesso senso di colpa perchè sono combattute tra la voglia di evadere e il dovere di tutela del neonato. 

Ma allora cosa si può fare? Esistono soluzioni? 
Penso che questo richiamo debba avere un suo spazio, credo che le donne meritino di sentirsi nel diritto di urlare, senza percepirsi cattive madri, per l'auto-
giudizio che parte improvvisamente da dentro, che censura e sopprime l'urlo.
Come sempre le emozioni sono tutte legittime e tutte necessitano di un loro sfogo, andrebbero ascoltate, rispettate, accettate. Come dice Winnicot esistono 17 buoni motivi per odiare nostro figlio. Trovare questi motivi sarebbe innanzitutto un buon modo per liberare quella rabbia che comunque c'è e nasce da un'insofferenza. Come un temporale con grandine ci si bagna, ci si spaventa ma la splendida notizia è che poi torna sempre il sole e la giornata riprende vigore, con il solito smisurato grande amore.

martedì 23 maggio 2017

Laboratori art-emozionali in gravidanza nel cerchio

Da doula amo vedere le donne in dolce attesa che si confrontano, che portano in gruppo paure, attese, momenti di stupore, dubbi, o il solo piacere di stare insieme, guardare quella pancia che cresce, che ancora nasconde la creaturina. Il cerchio è uno spazio protetto in cui poter parlare di gravidanza, di parto e del dopo.
Ho creato i laboratori art-emozionali per aprire uno speciale spazio nella gravidanza, dedicato alla donna che si approccia a conoscere il suo utero, ascoltando, immaginando e poi proiettando fuori su un foglio, traducendolo anche in note e plasmandolo con le mani. L'arte come canale per esprimere una voce emotiva. Di che colore è il mio utero? Cosa mi racconta? 
Le madri talvolta hanno bisogno di portare fuori i colori che maturano dentro. Non sempre sono colori pastello, potrebbe esserci qualche nube, qualche paura, e allora si può portarla fuori e addomesticarla, attraverso il riconoscimento e il ridimensionamento.
Amo i cerchi perchè permettono un confronto, uno scambio su una materia per la quale non occorre preparazione o competenza, è sufficiente ascoltare il cuore e muoversi:  insieme si crea un'atmosfera magica, un melodioso girotondo intorno alla vita. 
Nei cerchi non si impara, si sta. Nei cerchi non c'è giudizio. Nei cerchi siamo tutte donne accomunate da quel Sè femminile di cui siamo fatte. Nel cerchio si può portare un pezzetto di noi anche senza dire. Nel cerchio c'è libertà. C'è magia. Ci sono le donne e la vita dentro.

venerdì 12 maggio 2017

Se senti di voler fare la Doula......


Voglio portare a voi i colori della doula quando, dopo aver camminato lungo i sentieri della sua stessa femminilità, giunge alla donna che ha di fronte, nella quale si versa, si aggiunge, si distingue, si fa altro per far spazio.  Formarsi come doula è un momento di grande trasformazione.
Per me è stato un passaggio di "sostanza" nel profondo della donnina che c'è in me.
Parlerei di  un addomesticamento al contrario. Ero addomesticata ad una vita fatta di convenzioni, saperi, modalità acquisite, e lungo la mia scuola ho appreso ancora, aggiunto tessere e strategie, ma alla fine mi sono ritrovata "vuota", meravigliosamente vuota, pronta a tralasciare tutto l'appreso per com-prendere quell'altro che mi veniva spontaneamente incontro, quell'essenza racchiusa nella vita delle altre donne nella delicatezza della loro maternità.
Mi dicevo: "che lavoro difficile stare accanto alle madri!", devo essere un bel pilastro, la mia bocca deve saper traboccare di parole preziose e le mie braccia devono essere lunghe e forti abbastanza per contenere ogni donna, anche la più bisognosa.
Lo sbocciare della "doulità" in una donna per me è qualcosa che aggiunge colori nuovi ma al tempo stesso riconduce all'anima, a quell'intuito che c'è già, solo va interpellato, ascoltato nel silenzio dello spazio delle donne, arriva. Non è faticoso, non c'è copione, o un manuale che possa insegnare alla doula cosa fare o dire, penso sia tutta una questione di spazio e di forma da assumere, qualcosa che si impara sul campo, tra altre doule, ispirate da grandi esempi, quando il cuore è il primo a dire la sua.


La scuola delle doule, quale occasione preziosa per imparare a guardare nelle emozioni, quale spazio, quale culla per chi nel cuore sente il germoglio della doula.
Spesso mi chiedete com'è questa scuola... Non è molto facile spiegare a parole, è pura esperienza, pura magia, pura umanità.
Ringrazio l'Associazione (Mondodoula), e ringrazio le meravigliose donne che si incontrano in questo percorso.

mercoledì 5 aprile 2017

Lacrime post-parto, come aiutare una neo-mamma?

Scrivo per le donne che si approcciano alla vita da mamma per la prima volta, e perché no anche alla seconda e alla terza, per i neopapà e per i familiari delle neomadri.  
 Le si chiamano le “lacrime del latte”: quei momenti di sconforto che la neomamma prova dopo il parto. Per chi non lo sapesse nel puerperio, quel periodo di alcune settimane  immediatamente successivo al parto, l’emotività la fa da padrona. Spesso ci si sente scoraggiate, tristi, passive e quindi spaventate.  La responsabilità è in parte del sistema ormonale, che produce sbalzi,  e poi della forte inter-dipendenza che si vive con il bambino,  la faticosa gestione dei ritmi dell’allattamento, il riconoscersi “mamme” e quindi investite da grandi e improvvise responsabilità.  Chiamata anche “Baby-blues” questa fase contraddistingue un po’ tutti i post parto, anche se non tutte le donne ci riportano le stesse opinioni.  Sarebbe importante che la donna a sua volta fosse accompagnata e accudita durante l’accudimento del suo bambino. Spesso ci si rammarica di fronte a queste cadute emotive della donna, si vorrebbe fare qualcosa, ma cosa?
Cosa può fare un familiare? Sicuramente la presenza è uno strumento preziosissimo, come gli aiuti pratici, il dialogo, il contenimento dei momenti di sconforto. La solitudine delle donne sicuramente amplifica il senso di smarrimento. Quindi direi: state con loro, fatele sentire amate, belle, uniche. Nutritele in tutti i sensi.  Fatele parlare e se scelgono il silenzio, proteggetele. Fate in modo che i momenti di sconforto siano seguiti da caldi abbracci, in poche parole state con loro e non solo fisicamente nello stesso spazio,  ricordatevi che questi momenti passano e riconoscete alla donna il diritto di sentirsi un po’ giù.
Cosa può fare una doula in famiglia? Credo non esista una risposta scritta soddisfacente. Ogni donna è a sé, e ha le sue ragioni per sentirsi stanca e sconfortata. Ogni donna va ascoltata senza giudizio e con il cuore. Credo che il miglior modo di aiutare la neomadre  sia “stare con lei” nel suo spazio fatto di alti e bassi, di risate e lacrime, di paura e di fierezza.  Il tempo nel puerperio ha un suo orologio, il tempo può sembrare infinito o volare via in un istante; una difficoltà transitoria può prendere i toni dell’irrimediabilità, per poi sciogliersi in un sospiro dopo poche ore.  Mettersi in ascolto “emotivo” è saper stare in quel momento, non avere la pretesa di cambiare le cose. Semmai sarebbe utile valorizzare quel gran lavoro che la mamma fa, perché nelle difficoltà ci si sente spesso manchevoli e un rinforzo positivo ricorda alla donna quante risorse abitano in lei. La doula è una presenza femminile consapevole di questo periodo post –parto,  al di là di “cosa” può fare,  prende la forma dell’orecchio che ascolta, degli occhi che “riconscono”, delle braccia che incoraggiano. Fa tutto questo. 
La doula nel caso può anche custodire il nido in questo momento delicato, favorendo le relazioni tra i familiari, aiutando la famiglia a trovare dei ritmi funzionali che armonizzino tutti i membri del nucleo. Può prendere anche la forma di “agenda” pianificando le giornate. Per alcune donne il controllo della quotidianità può sollevare in modo che la gestione del neonato non sia sovraccaricata da ulteriori responsabilità.

Riconoscere e riconoscersi un momento di fragilità è molto importante perché apre la porta al sostegno. Non lasciamo le donne sole, stiamo con loro e amiamole. E se non possiamo forniamo un sostegno di qualità che permetta loro di ritrovarsi e amarsi. La doula può essere quel sostegno.

mercoledì 8 marzo 2017

L'intuito è femmina!

Nel mio percorso da doula l’intuito non è solo uno strumento ma è l’ingrediente essenziale per navigare nel mare della femminilità. Tutte siamo dotate di un forte intuito femminile, molte non ne sono consapevoli. 
Gran parte delle donne per sentirsi “viste e valorose” spendono un sacco di energia mentale e fisica; spesso le strade percorse non piacciono, sono faticose e sembrano essere scelte sbagliate e talvolta sfortunate, nonostante l'impegno. Certe volte ci diciamo che se avessimo ascoltato il primo istinto, quella sensazione sottile, avremmo evitato tante scocciature.
Ebbene proprio nel libro di Clarissa Pinkola Estés ("Donne che corrono con i lupi") si parla di Donna Selvaggia, di istinto primordiale che conferisce potere a tutte le femmine del mondo, di ogni epoca, di ogni cultura e rango.

Proprio oggi in occasione della festa marzolina delle donne mi vien voglia di esortare tutte le donne ad ascoltare più spesso quella vocina interiore che Madre Natura ci ha dato.
Nei vari sentieri della nostra vita, dai primi innamoramenti alla maternità, lungo gli incontri sentimentali sessuali, nelle relazioni familiari e sociali, ci misuriamo con quella parte di noi un po’ selvatica, esigente e giocosa. Quante volte l’abbiamo ascoltata? Quante volte abbiamo sedato la mente e ascoltato l'istinto? 
Mai come oggi penso al fascino delle donne e alle percezioni sottili che ognuna ha dentro di sé come custodite in un magico scrigno.
Donne, gemme, uteri sacri, creazione… tutto questo siamo.

 Vale la pena ascoltare la vocina, perché Lei Sa.

sabato 11 febbraio 2017

La mamma è come un bottone


Ciao a tutte,
Sempre si parla di "maternità", di donna e ruolo familiare, ruolo sociale della mamma.
Riporto la dolcissima frase che una bimba ha restituito alla mamma, al ritorno dall'asilo: "La mamma è come un bottone, tiene insieme tutto".
Per i bambini "la mamma è la mamma", colei che tutto sa, che tutto può, l'abbraccio più caloroso e protettivo del mondo, il profumo buono delle mani, la voce rassicurante della buonanotte, quella che per ogni problema ha la soluzione.
Ci riconosciamo in questo ruolo, super poteri e tante responsabilità.
Il passaggio da donna a donna/mamma è tutt'altro che semplice: da figlie a donne, da donne a mamme, da mamme a Madri.
Prendere i "superpoteri" derivanti dal miracolo della gravidanza, dalla forza del parto, vuol dire anche assumersi una grande sconfinata responsabilità; prendersi cura della Vita delle sue creature, sfamare, proteggere,custodire un germoglio così prezioso è un grande onore. Tuttavia ci vogliono tanta forza, coraggio, pazienza e soprattutto è difficile ricomporre i pezzi della donna che prima della maternità era abituata ad altri tipi di responsabilità.
Spesso le madri faticano a entrare nel loro ruolo, soprattutto quando la maternità è agli inizi e un carnevale di emozioni di natura ormonale fa sentire la donna tutt'altro che  "Wonder Woman".
Il parto è apertura, luce ma anche frammentazione. La donna si apre per dare vita, per fare uscire. Poi c'è bisogno di reintegrare. Ritrovarsi in un momento di grandi compiti di accudimento è molto faticoso se la donna non ha una culla che a sua volta accoglie Lei. 
Il germoglio non è solo la creatura che tiene tra le braccia. Anche lei,la nuova mamma è un piccolo meraviglioso germoglio da accudire, da abbracciare, da incoraggiare. Perchè si è fatta culla, ha donato parte del suo corpo per far maturare una vita, si è aperta al mondo, nutre con il suo latte, scalda come una coperta.
Ecco perchè un bottone è così importante. Se si scuce il bottone la giacca non si chiude.
Mi piace tantissimo questa similitudine: aver cura del bottone, non permettere che si scucia e si perda, proprio il  bottone che da solo può tenere insieme tutto il resto.
 Credo sia  importante che le madri si sentano "ben" ancorate alla loro maternità, non perchè si percepiscano irreversibilmente indispensabili, ma affinchè sentano quanto valgono, quanto siano importanti e brave nel loro ruolo; e questo è possibile se ci si prende cura di loro, se vengono custodite con amore, affinchè di amore siano sazie. Di amore non ce n'è mai troppo.

W le mamme!



lunedì 23 gennaio 2017

Racconto di una mamma e della sua doula....


LA MIA DOULA 



Era quasi iniziato l’inverno. A Bussana tirava un vento freddo, “frizzante” come diceva la mia nonna quando gli alberi perdevano le foglie e l’autunno consegnava le chiavi all’inverno.
Anche in quei giorni era così, ma non c’era tanto tempo per guardare fuori dalla finestra con il naso appiccicato ai vetri. Quello sarebbe stato un inverno speciale, senza tempo, senza fretta, senza i soliti impegni da calendario. Una sorprendente avventura era iniziata. La piccola Lucia era arrivata nella mia vita e pulsante come una stella mi chiedeva amore.
Avevo avuto un bellissimo parto, da copione: cinque ore di travaglio vissute con il mio amato compagno, tutto era andato splendidamente, eravamo tornati a casa in una domenica soleggiata e a volte ancora mi sembra di respirare l’aria della casa in attesa di noi quando entrammo in tre. Scoppiai in un pianto senza fine e Giulio mi guardò preoccupato, ancora ora fatica a comprendere i miei frequenti sbalzi d’umore tutti al femminile. Piangevo di gioia, di paura, di eccitazione.
I primi giorni erano stati bellissimi, Giulio era vicino a me, mia mamma era arrivata da Roma e viveva con me ogni piccola emozione, avevo iniziato ad allattare con la gioia dentro. Tutto sembrava perfetto. 
Ma quel 24 novembre qualcosa cambiò.
Giulio era tornato al lavoro, certo solo per poche ore ma io e Lucia ci svegliavamo sole, e mia mamma era tornata ad occuparsi della nonna, a Roma. Pensavo a loro, ci pensavo spesso e le invidiavo: le immaginavo prendersi una tisana calda la sera, insieme, e mia mamma che le rimboccava le coperte, come faceva a me molto tempo prima. Proprio io che mai avrei invidiato qualcun’altro.  Improvvisamente mi sentii come “imbottigliata”, mi sentivo una donna alla quale avevano tolto qualcosa.
Guardavo lei, Lucia, candida  nella sua culla, temevo che per qualche ragione mi leggesse nel pensiero. Ero felice, ma anche tremendamente triste, mi sentivo sola ma non avevo voglia di vedere le amiche. Avevo voglia di uscire ma ero spesso troppo stanca per farlo. Aspettavo con ansia l’arrivo di Giulio perché era più facile in due. Ma spesso non riuscivo a concedermi del tempo: allontanarmi dalla bambina metteva in libertà una strana sensazione di egoismo, temevo di rivelare a me stessa che avevo una smodata voglia di stare sola.
 La mia amica Marzia aveva uno splendido bambino di un anno, anche lei aveva avuto momenti bui: ci sentivamo spesso al telefono e a lei rivelavo un po’ della mia inquietudine, non volevo che altri sapessero che ero triste. Avevo una bambina buona e tranquilla, a 2 settimane di vita dormiva per ore ma nonostante ciò non riuscivo a fare nulla che mi desse piacere, nelle ore libere pulivo la cucina in modo compulsivo oppure cercavo su internet informazioni sulla famosa “babyblues”, avevo capito che potevo esserci dentro. Inoltre temevo che il mio latte non fosse sufficiente, la bambina cresceva ma era molto richiedente e io mi sentivo “non sufficiente” per lei.


Era un pomeriggio in cui non ero riuscita nemmeno a lavarmi la faccia quando il campanello suonò 2 volte ed era Marzia: mi portò un cestino con degli smalti, sapeva che li adoravo, ma la reazione fu un crollo. Piangevo imbarazzata. Mi sentivo così lontana da tutti, anche da me stessa. Mi abbracciò e mi disse che il regalo era dentro il cestino, sotto gli smalti. Un bigliettino rosa faceva capolino sul fondo ”Stella- doula”, con affetto, la tua amica del cuore.
Quello fu il regalo più prezioso che mi fece Marzia.
Ancora non capivo cosa dovessi fare. Sapevo che esistevano queste “doule” e che erano delle donne che aiutano le mamme, ma non pensavo fosse facile trovarle, se ne parlava poco e non conoscevo nessuna che direttamente ne avesse avuta una. 
La sera stessa, mentre allattavo Lucia, chiamai quel numero sul retro del bigliettino e parlai con Stella. Mi presentai, le dissi che un’amica mi aveva prenotato degli incontri (erano quattro) e che mi sarebbe piaciuto incontrarla. Mi fidavo di Marzia ed ero troppo triste per continuare a condividere le mie paure solo con me stessa.
 Ci demmo appuntamento il giorno successivo alle ore 15.



PRIMO INCONTRO

Avevo cercato di sistemare casa ma non era stato facile: Lucia aveva dormito pochissimo e inoltre in quei giorni voleva poppare almeno otto volte al giorno. Quando Stella arrivò ero in vistoso imbarazzo e mi scusai per il disordine.
Era bionda con una pelle chiarissima e pulita, aveva qualche ruga di espressione intorno alla bocca, un profumo buono di fiori e di aspetto delicato.
Ci sedemmo sul divano mentre Lucia iniziava a poppare. “Allora, chi è questa principessa?” mi chiese sorridendo. Le parlai di Lucia dipingendola come una bambina perfetta, mi dilungai descrivendo quanta felicità mi avesse portato. Le dipinsi la maternità come un momento eccezionale, ero grata al cielo per aver ricevuto un dono così bello.
Mi faceva parlare senza intromettersi, ero sul palcoscenico, non so se avete presente quando siete concentrati su di voi e il pubblico scompare per poi applaudire in un secondo momento? Il suo era un silenzio calmo, non imbarazzante, e io parlavo, la inondavo di parole.
Ero un fiume in piena, avevo fretta di dire, di riempire lo spazio. Poi mi fermai e le dissi :” Stella, forse ti chiederai cosa c’è che non va, visto che sei qui”. Stella mi guardò con dolcezza e mi disse : “Io vedo una mamma amorevole che ha tanta voglia di dire”, le dissi che era un po’ che non parlavo così tanto, che non sapevo di preciso cosa mi aspettassi da lei. Poi mi disse:” E’ importante poter parlare di noi, del nostro mondo, poterlo fare con libertà, come scrivere su un diario, ecco… una doula è anche un diario”. Le dissi che non parlavo da settimane di me, parlavo con mia mamma, con Giulio, con qualche amica, di Lucia, dei grammi che prendeva, della sua acne neonatale, parlavo della mia cucina disordinata ma non parlavo mai di me.


Lucia era crollata dal sonno e la misi nella sua culletta accanto a noi. Mi ricomposi e poi dissi: “Quindi con una doula posso parlare di…me?”. Stella mi rispose :”Si, se vuoi”. Sorrise e mi sfiorò la guancia con un buffetto, un tocco impalpabile ma pieno di cura per un persona che quasi non ti conosce. Sentii sgorgare le lacrime ma ancora cercavo di trattenerle.
“Io…sono una mamma felice ma una donna triste”, balbettai. Quasi mi veniva da sorridere.
Forse ero stata poco chiara. La doula rimase ancora un po’ in silenzio e poi mi sussurrò: “Com’è questa tristezza?”.
Le lacrime sgorgavano copiose. Mi porse un fazzoletto e la vidi intenerita. Non sapevo cosa mi stesse succedendo: avevo una gran voglia di essere abbracciata, sentivo che quella donna ancora sconosciuta non avrebbe pensato male di me e così mi lasciai andare e le dissi che ero una “mamma infelice” e che mi sentivo immensamente in colpa per questo. Forse mi lesse nel pensiero perché poco dopo mi accolse in un abbraccio materno. Piansi tra le sue braccia, attraccai ad un porto franco. Solo in quel momento capii che tutto ciò che cercavo era un rifugio, un luogo in cui depositare i miei pensieri, i miei sensi di colpa. Non riuscivo a incontrarli da sola.
Mi sentivo sottosopra, liberata, leggera ma stanchissima. Non sentii il bisogno di parlare ancora. Stella non mi chiese niente, accolse la mia scelta, una sorta di accordo “non detto”.
 Mi chiese se desideravo farmi una doccia, lei avrebbe sorvegliato Lucia, ma le dissi che preferivo rimanere con la bambina. Preparai una tisana e la bevemmo insieme. Non so perché ma improvvisamente mi venne voglia di ridere. Le raccontai di quella volta che preparai una tisana a Giulio e per sbaglio gliela appoggiai bollente sul braccio mentre in tv vidi la faccia della mia vicina di casa ad una orribile trasmissione. Risi e contagiai anche lei. Allora anche Stella mi raccontò di quando per errore mise il sale nella tazzina del caffè del titolare di suo marito dopo la primissima cena; e così iniziammo a ridacchiare. Mi sembrava di aver ritrovato un’amica.
Mi sorpresi per quanto bene mi fece piangere quel pomeriggio. Avevo pianto con una donna che non mi conosceva ma che in quel momento mi aveva ascoltata senza giudicarmi, con la calma di una mamma, la dolcezza di una donna, la confidenza di un’amica. Così conobbi la mia doula. Ci salutammo e ci demmo appuntamento per due giorni dopo.


IL TEMPO CON LA DOULA

Due giorni dopo Giulio mi fece una sorpresa e si prese il giorno libero, quindi chiamai Stella e le chiesi di vederci la settimana successiva. La giornata fu piacevole, Giulio era intenzionato a starmi accanto, era curioso di sapere cos’avesse fatto la doula qualche giorno prima visto che rientrando dal lavoro mi aveva trovata un po’ sottosopra ma in pace.  Forse a suo modo avrebbe voluto fare lo stesso.
In quei giorni avevo fame di compagnia, sentivo che da sola mi sarei persa. Giulio ed io facemmo una lunga passeggiata con Lucia; mi disse che era dispiaciuto del mio isolamento, sembrava triste, desiderava vedermi allegra, mi disse che la mia tristezza lo preoccupava al punto da farlo dormire male. Improvvisamente sopraggiunse un crescente senso di inadeguatezza. Non avrei voluto deludere il mio uomo. Avrei voluto spiegarli cosa mi attraversava il cuore ma non ce la feci.

Il giorno dopo chiamai Stella, le dissi che ero felice di averla conosciuta e che mi dispiaceva aver rimandato il nostro appuntamento. Lei mi rassicurò e mi disse che era importante per me e Giulio passare del tempo insieme e che era felice se lo eravamo noi. Poi le dissi che la bambina aveva un forte arrossamento al sederino e che non sapevo cosa fare, e aggiunsi anche che  forse non l’avevo lavata bene, che forse ero distratta da qualcosa, che non mi sentivo tranquilla.
Stella mi disse che nel pomeriggio aveva qualche ora libera e che se avessi voluto sarebbe passata per un saluto. Accettai. L’idea di averla in casa anche solo per poco mi rassicurava.
Alle 17 Stella arrivò.
Mi saluto calorosamente con il suo fare delicato che tanto mi colpiva ogni volta.
Ci sedemmo in salotto. Lucia dormiva. Parlammo del sederino dei bambini, mi disse che la sua nonna usava impacchi di acqua e olio e riaffiorò in me il ricordo di mia mamma che mi raccontava di questo miracoloso rimedio.
Le dissi che se ci fosse stata mia mamma me lo avrebbe di certo detto e che Giulio invece non sapeva niente. Nel momento in cui pronunciai il nome Giulio sentii dentro un’emozione molto vicina alla rabbia.
La doula mi chiese “Come va con lui?”. La guardai e le dissi “Beh, benissimo, siamo da sempre molto uniti”.
Stella mi propose di parlare di “noi” (come coppia) se lo desiderassi. Le dissi che volevo parlarne ma che in quel momento non riuscivo a trovare le parole. Mi chiese se avessi un foglio e dalla sua borsa tirò fuori dei meravigliosi pastelli che profumavano di infanzia.  Mi domandò :”ti piace disegnare?”. Le risposi che adoravo il disegno.
Mi propose un gioco, disse:” il disegno non ha bisogno di parole, se vuoi puoi far parlare questi pastelli, ed è anche un buon modo per rilassarci”, e così anche lei iniziò a disegnare.
Disegnai una bella casa con il camino fumante, gialla, rossa e arancione: disegnai un orsetto e una mano che lo accarezzava. Poi guardai bene e vidi che mancava qualcosa. Stella mi chiese di dirle come mi sentissi. Sentivo la solitudine nonostante il calore di quella casa.
Mi sentivo distante da Giulio, lui mi voleva bene ma non mi stava aiutando, non mi dava il permesso di buttarmi giù, lui non voleva vedermi triste. Il magone lasciò spazio ad altre lacrime. Le dissi che la vita a tre non era così perfetta come mi aspettavo. Allora lei mi chiese :”Com’è una vita a tre perfetta?”. Le risposi: “Sono tanto confusa”. Mi guardò come faceva mia mamma quando da piccina mi dava quelle risposte rassicuranti, quando ti fidi a prescindere, perché sai che la mamma è la mamma. Mi parlò di questo carnevale di emozioni che caratterizza il puerperio. Mi disse che questi “momenti” a tratti opposti potevo accettarli, farli accomodare, che avremmo potuto disegnarli, nominarli, magari anche arrabbiarci con loro ma che potevamo “addomesticarli”, era possibile farlo, mi ricordò che sarebbe rimasta con me, tutto il tempo necessario.
Mi chiese se la parola “insieme” mi piacesse: ecco..“quell’insieme” mi piaceva. Lei, Stella, pareva che sapesse esattamente dove mi trovavo, nonostante l’evidente confusione. Avevo l’impressione che lei mi mostrasse la strada, non una strada, la mia.



I motivi che mi spinsero a vederla ogni settimana per qualche mese si possono racchiudere in poche parole: avevo bisogno che qualcuno mi aiutasse a riconoscere i miei fantasmi, ad addomesticarli, potevo accettare tutto se qualcuno mi illuminava la strada.
Stella veniva da me il pomeriggio, dopo qualche incontro le permisi di tenere in braccio Lucia mentre io mi facevo il bagno. A volte mi portò uno spuntino. Altre mi portò qualche libro di tradizioni popolari sui rimedi naturali dei bambini. Adoravo leggerli e metterli in pratica.
Dopo il terzo incontro presentai la mia doula a Giulio. Gli piacque molto. Si fermò a cena da noi.
La mia doula era una presenza illuminante in un momento di montagne russe emotive. Forse il suo nome non era casuale.
 Con lei le mie paure trovavano ristoro, potevo mostrare i miei punti luminosi e le mie ombre, lei era lì, era il mio “caro diario”, accoglieva e non sottoscriveva.
Ridevamo insieme e non solo: una volta raccontai una storia triste e piangemmo insieme. Quando allattavo Lucia  lei mi leggeva storie buffe.
Un giorno ero stanchissima e lei ha fatto la spesa per me, non mi sembrava vero.
Erano pomeriggi straordinariamente normali, Stella è davvero  una donna di cuore.
Una volta la rappresentai in un disegno: era un cesto vuoto che profumava di legno e fiori, pronto da riempire con frutti gustosi.
Sono grata a Stella. Lo è anche Giulio.
E poi ho capito che non ero una mamma infelice, solo che avevo bisogno di “una mamma”. Ogni donna ne ha bisogno.



Arianna